Sono un’operatrice di strada e ormai per me la strada non è più solo quel luogo che puzza di asfalto, su cui le macchine sfrecciano frenetiche. Ogni settimana, a bordo di un’utilitaria blu notte, distribuisco preservativi e ascolto chi la strada la vive e la respira ogni giorno: le prostitute, le lucciole, le puttane, le lavoratrici sessuali.
Per gran parte della mia vita la strada non ha avuto nessun valore, nessun significato. È stata semplicemente un tramite, un percorso da attraversare per raggiungere qualcosa (o qualcuno), tuttalpiù qualcosa da osservare annoiata dal finestrino di un treno.
La strada in quanto spazio a sé non esisteva, non per me. Potevo avventurarmi in riflessioni sul simbolico di qualche spazio occupato, sul valore storico e politico di una piazza, ma non sulla strada. Insomma, io e la strada eravamo legate da un rapporto di pura utilità.

La strada, Giulia Zollino
La complessa meraviglia della strada l’ho (ri)scoperta sulla Via Emilia.
Era notte; avevo la febbre e il cuore in gola.
«Come ti senti? ‒ mi chiese un’altra operatrice ‒ Stasera cominciamo da qui» mi disse mostrandomi la mappa della città.
«C’è qualcosa che non devo dire?» chiese una me piena di dubbi e paura di sbagliare.
«Lo capirai. Comportati normalmente».
Quelli che fino al giorno prima erano solo dei nomi scritti su carta, quella notte sarebbero diventati volti, persone.
«Ciao! Che begli occhi… sei nuova?» mi chiese V. “Grossa, robusta, bionda, ucraina” diceva il file nominativi. Quella sera aveva una gonna di jeans molto anni ‘90, Camperos marroni, un giubbottino attillato da cui spuntavano due grosse tette e un colbacco bianco in testa. Non dimenticherò mai quell’outfit improbabile.
Qualche chilometro più avanti c’era T., una trans peruviana dai capelli castano scuro. Era bellissima (lo è sempre). Indossava una pelliccia bianca che le arrivava ai piedi. Le scarpe argento erano altissime e piene di brillantini. Gli occhi, marrone scuro, erano segnati da una riga di eye-liner color oro.
«Ma ciao bel cioccolatinooo!» disse al mediatore nigeriano poco più che sessantenne, roteando la borsetta in aria. Affianco a lei, davanti al Diesel, Rebecca, un’altra trans peruviana. Quell’incontro fu breve ma impreziosito da una gestualità per me tutta nuova. Dalla borsetta tirò fuori uno specchietto e con un colpo netto si sistemò la parrucca: «Ti piace? L’ho pagata 200 euro». Con l’altra mano prese i preservativi e con l’abilità di chi ha ripetuto quel gesto mille volte, li sistemò nella borsetta dividendoli uno a uno.
A partire da quella notte avrei rivisto quei gesti, sentito quegli odori e toccato quelle mani (e non solo) fredde d’inverno e calde d’estate ogni settimana, per più di un anno.

Georgina Orellano, Furiosaurbana
Con una visione tutta goffmaniana, lo spazio urbano è un palcoscenico che ospita l’incessante mutamento delle soggettività e degli oggetti che lo abitano. La strada fa da sfondo a un incessante rituale in cui le signore acquistano e difendono il proprio spazio a colpi di rossetti colorati e battute scanzonate.
«Questo pezzo è mio. Non ci può stare nessun’altra».
L’angolo, il marciapiede, il lampione malfunzionante, il pezzo di strada diventa una proprietà, un luogo in cui la separazione tra sfera pubblica e sfera privata non è poi così marcata. I confini si sfumano, nulla è definito e definitivo.
Quando si parla di strada come luogo della pratica prostitutiva è facile darne una rappresentazione parziale e tendente a evidenziarne gli aspetti più oscuri e violenti, ma la strada è un luogo pieno di contraddizioni e, per questo, difficile da raccontare.
È calda e fredda allo stesso tempo. Tremendamente semplice e meravigliosamente complessa.
Ricca e spoglia. Sporca, cruda, diretta, ruvida ma anche dolce, delicata, abbagliante.
È incantatrice, invitante, performativa, teatrale, grezza.
La strada è uno spazio di azione, di espressione del sé. È libertà, gioco, ironia.
A fare la strada sono le persone, le signore della notte (e del giorno) con il loro modo di “stare”, di giocare con quei codici tipici delle “operatrici stradali”, come ama definirsi Cristina. Per le “favolose signore” la strada diventa un ambiente “familiare, favorevole, agito e agevole”, in cui esibire, estremizzare o nascondere parte di sé*. Quel modo di calpestare la strada e di imporre coraggiosamente la propria presenza è unico, personale. Ti entra dentro e ti travolge.
«La calle te enseña todo» mi ripete ogni tanto Sandra.
Ha ragione. A me, che mi trovo dall’altro lato, con il volto incorniciato da un finestrino, ha insegnato molte cose. Mi ha mostrato altre modalità di (re)esistere e di occupare lo spazio con il proprio corpo, a testa alta, con coraggio. Mi ha insegnato a sfidare i giudizi, a osare e prendermi la libertà di giocare. Con la strada ho imparato a ridere degli altri, del mondo e di me stessa, oltre che «la menta ammazza il sentimento di sesso».
*P. Marcasciano, “L’aurora delle trans cattive”, Alegre, Roma, 2018
Giulia Zollino si è laureata in antropologia ed è un’operatrice di strada nonché un’educatrice sessuale. Su Instagram cura un profilo in cui racconta la sua professione con ironia e disincanto per informare e aiutare a de-stigmatizzare il lavoro sessuale.

Giulia Zollino
Complimenti, credo sia un lavoro molto difficile e delicato. Chi si occupa degli ultimi é sempre un cuore generoso e impavido. Grazie per le tue testimonianze.
Ciao Marco, ci tengo a precisare che il lavoro di Giulia non è quello di salvare le persone dalla strada, ma di supportarle in un mestiere che non viene riconosciuto socialmente e neppure dalle autorità. Lei lavora principalmente con persone che decidono autonomamente di intraprendere il mestiere della prostituzione e anche se si trattasse di persone vittime di tratta, la mentalità del “salvataggio” è in ogni caso da evitare, perché anche in quel caso devono essere le persone direttamente coinvolte a scegliere se continuare a stare all’interno di un certo meccanismo o meno. [Claudia Ska, agit-porn]