Tre anni fa agit-porn veniva alla luce.
Nel frattempo sono scoppiate – nell’ordine – una pandemia e una guerra a due passi da casa.
Sono avvenuti anche degli accadimenti meravigliosi come un libro e un programma su Twitch.
Oggi dovrei essere contenta di questi ultimi due intermezzi, invece mi sento frustrata e arrabbiata, schiacciata dai luoghi comuni e dalla retorica della cosiddetta “festa della donna”.
La gente continua a fare gli auguri.
La gente giovane. Auguri perché ho una vagina? Di buon auspicio per non incappare in persone che, dopo avermi detto “ti amo”, mi menino e tentino di ammazzarmi? Oppure auguri e… figli maschi? D’altra parte mal sopporto una certa critica che mi sembra ancora troppo vincolata a un perculamento del maschio eterosessuale. Le parole “problematico”, “tossico”, “privilegio”, “etico” rimbombano nella mia testa senza che sia capace di dare loro un significato e una direzione.
Lotto Marzo?
Non so quali siano le mie lotte, non capisco se devo aderire a esse e come, per quali ragioni.
Mi sento spaesata perché sento che ci sono discriminazioni, sì, ma il modo in cui vengono raccontate non mi persuade, né da chi si ritrae offeso (con la “o”) né da chi attacca con veemenza.
Un po’ per uno spiccato individualismo egoista, un po’ per diffidenza e senso di inadeguatezza, mi sento spesso fuori dal coro e appena ci entro dentro, non posso che stonare. Tocco con un dito l’entusiasmo di fare parte di qualcosa, ma poco dopo l’emozione svanisce lasciando spazio al dubbio: la massa, anche quando in buona fede, resta massa. Rivendico il lavoro individuale, l’introspezione, l’autoanalisi, ma so che questi esperimenti sono inevitabili e irraggiungibili senza il confronto con altri esseri viventi e la relazione con gli spazi che costruiamo e attraversiamo.
Ripeto spesso che possiamo essere una collettività consapevole se siamo individui consapevoli, ma temo che non basti la buona volontà.
Non voglio mimose, voglio che la smettiamo con gli stereotipi e voglio arrabbiarmi senza che mi si dica che mi sto maschilizzando, perché la rabbia è un mio fottuto diritto.
E non so neppure cosa farci con tutto questo inferno nel cervello e nella pancia, se le uniche parole che riesco a dire o scrivere sono: andate a fare in culo.
La distonia che percepisci attanaglia molti esseri umani. La questione della consapevolezza individuale non risolve contraddizioni che scaturiscono da contraddizioni sociali.
Capire la società in cui viviamo è fonte di frustrazione, a volte, di sorpresa, altre volte, di sgomento, troppe rare volte.
È inevitabile sentirsi sole in queste consapevolezze, alle quali giungiamo durante il corso della nostra vita e quindi ricerca; a farci sentire meno sole e a veicolare la nostra rabbia in qualcosa di costruttivo, in una controvoce del coro delle proteste, sono i nostri prossimi, i libri che leggiamo e le voci che ascoltiamo.
Buona lotta, sempre ad mai ora e che le “acque chete” periscano, stare fermi e quindi quieti è impossibile se si scava abbastanza dentro sè stesse.
L’apparente libertà offerta dalla Rete, oltre alla ridondanza d’informazioni per lo più inutili, ha generato un allontanamento fisico; essere una collettività, condividendo idee, sogni, valori ed ideali è limitante se non vi è una condivisione di spazi fisici, di azioni di corpi. Siamo troppo distratti dall’inferno nella mente e nella pancia per comprendere che concentrando la nostra attenzione sulla pancia anche l’inferno della mente si spegne.
La nostra parte rettile, ancestrale, che ci hanno educato a confinare nell’intimo senza condividerla nemmeno con noi stessi, va liberata e lasciata libera di contaminarsi e contaminare altri esseri umani.
Il Piacere deve essere un piacere delle menti del corpo, molteplici e non solo razionale, il Sesso come massima essenza di Libertà ed il Porno come sua naturale manifestazione artistica ci devono guidare in questo percorso di emancipazione alla Vita.