Ellen Ripley, protagonista della saga horror fantascientifica “Alien” firmata dai registi Scott, Cameron, Fincher e Jeunet, è uno dei personaggi che ha ribaltato il ruolo delle protagoniste femminili nel cinema horror, ma non solo: è un personaggio che ha cambiato le dinamiche di genere nella narrazione cinematografica mainstream.
Dolce Ellen, finalmente non ha niente di dolce: interpretata da Sigourney Weaver ai suoi esordi nel cinema hollywoodiano, nell’ormai lontano 1979, anno di uscita del primo capitolo della saga “Alien“, al quale seguiranno con la stessa protagonista altri 3 episodi: “Aliens: scontro finale”, diretto da James Cameron (1986) , “Alien3”, di David Fincher (1992) e “Alien: la clonazione” di Jean-Pierre Jeunet (1997). Scott riprende le redini della regia per due recenti prequel che, per ora, concludono la saga: “Prometheus” (2012) e “Alien: covenant” (2017).
Nel mio articolo introduttivo a questa rubrica ho già citato il personaggio di Ellen Ripley riferendomi alla perdita di controllo che nell’horror viene associata quasi esclusivamente al genere femminile. Fermo restando che in questa dinamica classica dell’horror Ripley non fa eccezione, il suo personaggio merita sicuramente un approfondimento e un accenno agli scenari che si sono aperti dopo la sua salvifica venuta nel cinema hollywoodiano mainstream.
Inizialmente il personaggio di Ellen Ripley fu immaginato e costruito da Scott e dallo sceneggiatore Dan O’Bannon per essere interpretato da un attore, con lo scopo ben preciso di evitare di inserire all’interno della storia la figura della classica final girl, che in quel periodo dominava l’immaginario horror e fantascientifico: pare che, arrivati alla scelta del cast, gli addetti ai lavori si siano chiesti – Scott in primis – perché non affidare quel ruolo a un’attrice esordiente. Il rischio final girl era stato neutralizzato dallo studio delle caratteristiche del personaggio e Ripley non era strutturata per essere una spalla, un aiuto salvifico o una sopravvissuta casuale, bensì una Tenente sulla propria astronave, che conduce un equipaggio in una missione pericolosa su un pianeta sconosciuto: una vera e propria protagonista, totalmente struccata, che si guadagna la fiducia e il rispetto dei suoi compagni attraverso la competenza e il coraggio, non attraverso la simpatia e nemmeno tramite la seduzione.
Quarant’anni fa una donna alla guida di un’astronave fece scalpore, ma fu una donna capace – che nonostante il terrore irrazionale e la paura incontrollabile della morte – mise in campo le sue competenze per risolvere la situazione e fare ritorno sulla Terra, e che determinò il successo del film. Sigourney Weaver fu la prima donna a ricevere una nomination all’Oscar come miglior attrice protagonista per un film di fantascienza, riconoscimento che arrivò solo nel 1987 per “Alien – lo scontro finale”: non si era ancora al punto in cui poter ambire a vincerlo (quell’anno fu Marlee Matlin per la sua interpretazione in “Figli di un Dio minore”), ma la nomination fu sintomo di un’avanzare dei tempi, forse non così rapido, ma quantomeno positivo.
Nelle quattro pellicole di cui è protagonista, Ripley attraversa diverse fasi, acquisendo sempre più forza: nel primo “Alien” è un personaggio risoluto ma spaventato; nel secondo la paura irrazionale fa posto al terrore misto alla capacità di analisi razionale (sudatissimo, letteralmente); nel terzo e nel quarto si entra in terreni più “mistici” dove sul sesso biologico della protagonista fanno leva temi come la maternità (“Alien3”) e il martirio (“Alien – la clonazione”). Ciononostante l’aspetto della protagonista diventa, in modo inversamente proporzionale alle tematiche, sempre più mascolino, ed Ellen non è più nemmeno un essere umano, ma piuttosto un personaggio senza sesso, caratterizzato da tratti tipicamente maschili e femminili. Per dirla con le parole di Elizabeth Graham, che ha sviscerato la questione nel suo volume “Meanings of Ripley: the Alien quadrilogy and gender” Ripley è allo stesso tempo «un’eroina femminista, una madre patriarcale e un mostro».
Ellen Ripley apre le porte a nuovi personaggi femminili come Sarah Connor in “Terminator” (accomunati anche dalla regia di Cameron, 1984), o Clarice Starling ne “Il silenzio degli innocenti”, mettendo un metaforico punto all’era delle signorine in difficoltà che hanno bisogno di essere salvate.
Nella saga di “Alien” il ruolo di genere e la questione della maternità sono fondamentali: sia nell’equipaggio umano che tra gli Xenomorfi, quelle che all’inizio (prima per gli Xenomorfi e poi per quanto riguarda Ellen Ripley) sono solo madri, deputate alla riproduzione, diventano poi alfa, combattenti e spietate risolutrici.
Insomma, vale la pena riguardarli tutti con occhi nuovi, approfittando della quarantena. Mi raccomando: fate del vostro meglio per resistere alla tentazione che viene sempre dopo una maratona di “Alien”, ossia rasarsi i capelli a zero.
Potreste pentirvene (oppure no).