L’immaginario del porno mainstream è fatto da persone che rispondono a precisi canoni estetici, etnici e sociali: donne borghesi, bianche, slanciate, toniche, formose, con seni sodi grandi come meloni (spesso grazie alla chirurgia estetica), uomini anch’essi borghesi e bianchi, palestrati, aitanti e dotati di peni di dimensioni simili a mattarelli da cucina.
Tutto ciò che esula da questo standard viene isolato, trattato come un’eccezione. Andate su PornHub: “giapponesi” e “nere” (notare gli aggettivi al femminile) sono categorie definite; che poi le “nere” siano africane, francesi, americane, varie ed eventuali, non ci è dato saperlo, ma in quanto di pelle scura bastano per costituire una sezione propria. Sono l’alternativa alla norma: la donna bianca.
“Gay” è un sito a sé con delle sotto-categorie a sua volta, perché in un mondo omofobo come il nostro non è contemplato che le persone che desiderano eccitarsi con la pornografia possano finire su un video di uomini che si divertono allegramente trastullandosi a vicenda.
Nello specifico delle rappresentazioni eterosessuali, l’uomo è dominante e la donna viene raffigurata come colei che gode principalmente nell’essere dominata e penetrata. Si sprecano le fellatio a scapito dei cunnilingus e le scene terminano con lui/loro che eiacula/no su viso, seno, natiche, piedi di lei/loro. Nelle rappresentazioni “lesbiche” (presente su PornHub anch’essa come categoria e non con un sito a parte come per gli uomini omosessuali), vengono usati una serie di espedienti per eccitare principalmente (forse esclusivamente) un pubblico maschile eterosessuale. I video lesbici mainstream contengono sogni e desideri di uomini eterosessuali, difficilmente le lesbiche vi si identificheranno.
Se è vero che le attrici porno scelgono cosa fare sul set (e su questo devo approfondire la questione), le sceneggiature sono viziate da un punto di vista etero-normato, machista e sessista.
I titoli stessi dei video che si trovano online sulle più note piattaforme di pornografia in streaming la dicono lunga sulla visione e rappresentazione della donna, che in moltissimi casi viene definita troia, vacca, puttana, cagna, mignotta, zoccola, porca mentre lui è stallone, toro, maschione, porco – sì – ma con una sfumatura non denigratoria.
I titoli dovrebbero dare un’idea di cosa si vedrà, ossia una o più donne che vogliono godere e che per questo si meritano di ricevere il pene o i peni dei loro partner.
Inoltre nel porno tradizionale il sesso è sempre penetrativo e tra falli veri e finti a volte si arriva al parossismo.
È evidente quanto la pornografia che siamo abituat* a fruire sia normativa a più livelli, laddove la norma è persona cisgenere, abile, di pelle bianca, afferente al ceto medio, eterosessuale. Non è raro che quando si chiede alle persone se guardano e piace loro il porno, quasi naturalmente penseranno a una pornografia di quel tipo, che di fatto è unidirezionale; non a caso molt* esprimono rigetto nei suoi confronti.
Da qui nasce l’esigenza di un porno alternativo, ossia il post-porno, che per sua stessa natura è, o dovrebbe essere, inclusivo e intersezionale abbracciando la diversità delle persone e delle prospettive, sia di chi lo mette in scena che di chi ne fruisce. Il post-porno nacque proprio dall’esigenza di ridimensionare e contrapporsi al modello della pornografia tradizionale, sovvertendo modelli stereotipati non solo sessualmente ma anche socialmente.
Ci stiamo abituando al porno cosiddetto etico di Erika Lust, che resta comunque normativo, edulcorato rispetto a un discorso politico più esplicito e comunque infarcito di product placement (Erika Lust ha uno shop online e nei suoi film non è casuale che siano presenti i prodotti che vende).
Business is business.
Nel filone del post porno si inserisce il porno-attivismo ossia l’uso della pornografia in modo apertamente politico, con la finalità di turbare lo sguardo delle spettatrici e degli spettatori.
Il porno-attivismo è estremo perché si colloca fuori dalle regole e/o dal senso comune. È sfacciato, provocatorio, sovversivo, finalizzato all’autodeterminazione in senso lato. Come ogni gesto rivoluzionario, porta scompiglio e non è facile da digerire né tantomeno da gestire, perché mette in soggezione il comune senso del pudore in luoghi e circostanze che non ci si aspetta.
Grazie a Fluida Wolf (sempre sia lodata!) ho scoperto Maria Basura e il suo progetto “Fuck the fascism” in cui compie atti vandalici contro statue, monumenti, tombe di colonialisti. Questi atti sono sessuali: armata di strap-on e dildo, frustini e passamontagna, mette in scena un abuso sessuale ai danni delle icone di uomini che hanno violentato popoli e luoghi imponendo religioni, lingue, riti, usi e costumi in modo arbitrario.
Conoscevo già i lavori di Diana J. Torres, nota come pornoterrorista, che ha fatto un enorme lavoro di divulgazione anticonformista rispetto al piacere femminile e ai corpi (“Fica potens” e “Pornoterrorismo” entrambi editi da Golena edizioni).
Maria è sudamericana, nata e vissuta in un continente occupato da potenze europee, le quali – oltre a usurpare terre, schiavizzare e sterminare le persone autoctone – hanno anche deportato massivamente persone dall’Africa (altro continente sottomesso con la forza e la violenza) per sfruttarle altrove, al solo scopo di dare prestigio, potere economico e politico al Paese d’origine. Diana invece è spagnola ma vive in Messico da ormai molti anni.
Entrambe sono esempi emblematici della discriminazione in quanto donne che non incarnano i modelli di un porno che – è evidente – non appartiene loro.

Maria Basura in un assalto porno guerrigliero di “Fuck the fascism”
Lo stato di cattività ha innescato la necessità di ribellarsi.
È (anche) da questa prospettiva che dovremmo guardare la pornografia: i corpi che vediamo portano addosso le esperienze di cittadin* abili, bianch*, precari* ma non pover* ed escludono un’ampia fetta della Società che non conosciamo semplicemente perché lontana da noi in un modo o nell’altro.
Abbiamo bisogno di una pornografia intersezionale, democratica, progressista, inclusiva, solidale, che dia voce a ciascun* e nella quale chiunque possa identificarsi e desiderare.
Non significa normare in modo diverso, ma dare la possibilità di esprimersi e di trovare materiale di cui fruire senza sentirsi esclus*.
Il post-porn è la risposta femminista alla narrazione del piacere.